Da Sanitopoli, ai veleni della Procura, allo sgambetto (o tradimento) della politica. Desirèe Digeronimo, magistrato, ora 55enne, torna a Bari. In Procura. E lo fa dopo dopo sette anni di purgatorio a Roma dove è andata, su sua richiesta, prima che il Csm decidesse un eventuale trasferimento per incompatibilità ambientale.
Scelta inevitabile dopo che, nel 2013, un gruppo di magistrati di Area del distretto di Bari che, nel 2013, accusò lei e un suo collega per aver scritto una lettera riservata – inviata a vertici di Procura e Procura generale (poi finita sui giornali) – nella quale si parlava della presunta incompatibilità del giudice che aveva prosciolto l’allora presidente Nichi Vendola.
“IL DENUNCIATO ISOLAMENTO”
La vicenda giunse al culmine di uno scambio di accuse al vetriolo tra magistrati e lo stesso ex governatore pugliese, sfociate con procedimenti penali incrociati, cui si pose fine – sia pure con code giudiziarie dirette o indirette approdate a Lecce e a Potenza – con il trasferimento a Roma della Digeronimo.
“Il trasferimento è stato solo l’ultimo atto di un cammino progressivo di isolamento all’interno del mio ufficio – dichiarò in una intervista (Affari italiani.it) che io imputo all’azione di personaggi collegati a un gruppo di potere finalizzata alla mia delegittimazione professionale e personale. Non dovevo essere credibile così non sarebbero state credibili le indagini che conducevo”, precisò.
DAI CLAN MAFIOSI AL MALAFFARE IN SANITA’
Desirèe Digeronimo, pm antimafia, Per anni fu sotto scorta per aver smantellato alcuni clan, tra cui gli Strisciuglio. Tra il 2008 e il 2009, diede vita alla maxi inchiesta sulla presunta cupola della Sanitopoli pugliese accendendo i riflettori sul presunto intreccio tra malaffare e politica che portò comunque all’arresto dell’ex assessore alla Salute, Alberto Tedesco. Il politico, dopo una parentesi al Senato che gli garantì una temporanea immunità, ha definito la vicenda con la prescrizione.
Un’ultima coda di quell’inchiesta, da cui gemmarono una serie di fascicoli di indagine, si è chiusa in appello alcuni giorni fa con una sentenza di assoluzione per altri imputati.
Desirée Digeronimo è sempre stata abituata a dire quello che pensava, anche se alcune sue amicizie (o presunte tali) le sono costate il tritacarne delle polemiche con qualche graffio giudiziario da cui, è bene chiarirlo, ne sono usciti tutti senza una censura.
L’ex procuratore Laudati, capo dell’ufficio inquirente barese nel periodo in cui la Digeronimo era in servizio fu accusato di abuso d’ufficio e favoreggiamento personale per aver rallentato l’inchiesta sulle escort portate tra il 2008 e il 2009 da Gianpaolo Tarantini nelle residenze dell’allora premier Silvio Berlusconi.
L’alto magistrato, ora a Roma, è stato assolto in appello a Lecce con formula piena a Lecce “perchè il fatto non sussiste”. La sentenza è andata al di là della formula assolutoria di primo grado “perchè il fatto non costituisce reato” certificando la correttezza dell’operato dell’allora vertice dell’ufficio giudiziario barese.
LA CAMPAGNA ELETTORALE AL COMUNE DI BARI
Dalla magistratura alla politica. Desirèe Digeronimo, nel 2014, si candidò al consiglio comunale di Bari contro Antonio Decaro (da lei indagato per un presunto abuso relativo a un concorso, circostanza di cui l’allora consigliere regionale e parlamentare ne uscì con assoluzione con formula piena). L’idea iniziale era quella di creare un terzo polo, un’alternativa alla sinistra e alla destra.
L’ex pm barese fu comunque proclamata eletta nonostante le due liste che l’avevano sostenuto non raggiunsero il quorum del 3% (lei, come candidato sindaco, ottenne il 3,1% pari a oltre 5.600 voti). L’esperienza nell’aula consiliare durò pochi mesi perchè il Tar Puglia (e successivamente anche il Consiglio di Stato) accolse il ricorso di un candidato della lista Schittulli, formazione politica a cui andò appunto il terzo scranno perchè i giudici amministrativi ritennero non corretta l’attribuzione del seggio per il mancato raggiungimento del quorum.
IL RITROVATO ACCORDO CON EMILIANO E LA DELUSIONE IN REGIONE
Tuttavia, pochi mesi dopo, la Digeronimo trovò una intesa con l’allora candidato governatore, Michele Emiliano, contro il quale si era scagliato verso la fine del suo secondo mandato come sindaco criticando alcune scelte fatte dalla sua amministrazione. I due sigillarono il matrimonio (politico) con una conferenza stampa nella quale la pm dichiarò di aver condiviso una serie di “cose da cambiare” con l’ex suo collega, incassando non poche polemiche soprattutto da chi l’aveva sostenuta nelle amministrative “contro” quel Pd con il quale ora si stava… accasando.
La pm romana ottenne un posto in prima fila: fu candidata come capolista della Lista “Puglia per Emiliano”, titolo che in realtà serve a ben poco poichè nell’urna contano i voti effettivi sulle schede su cui si scrive il nome. La Digeronimo ebbe come “compagni” di avventura di lista macchine da guerra elettorali, tra cui Alfonso Pisicchio (che arrivò primo e portò a casa l’unico seggio della lista) e Fabrizio D’Addario. Fatto sta che proprio a Bari – città che per qualche mese l’aveva eletta al consiglio comunale – il magistrato “perse” oltre 4mila e 500 voti evidentemente drenati dai suoi diretti “concorrenti” o da meccanismi incrociati di liste civetta.
IL RITORNO ALLA PROCURA DI ROMA
Se si trattò di un piano studiato a tavolino, questo non saprà mai. L’unica certezza è che, nonostante la mancata elezione, la Digeronimo esultò comunque per il risultato raggiunto da Emiliano sostenendo che i voti erano stati raccolti a mani nude e insistendo per quello che sarebbe stato un percorso di cambiamento. Dopo qualche mese, a fronte di qualche indiscrezione sui suoi possibili incarichi in enti regionali (si parò anche dell’Ares), la Digeronimo si ritirò definitivamente nella Procura di Roma dove è rimasta fino ad oggi, prima di tornare a Bari. E in Puglia.