In questi giorni fa molto discutere il cosiddetto caso Palamara, il giudice radiato dalla magistratura per aver brigato sulle nomine alla Procura di Roma.
La cosa singolare è che a silurarlo sono stati quegli stessi colleghi oggi denunciati nel libro, scritto da Palamara e dal direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, in cui c’è un vero e proprio elenco di notizie di reato.
Palamara svela, con dovizia di particolari, una serie di retroscena su fatti e misfatti “confessando” – e questo duole dirlo – di come la magistratura abbia voluto controllare e punire quella politica che osava ficcanasare nei suoi affari e di come non abbia avuto alcuna esitazione nel comportarsi come quei criminali che spesso persegue.
Palamara non è un santo, è bene precisarlo. Lo paragono a uno di quei criminali che si pentono e poi decidono di saldare il debito con la giustizia beneficiando dello sconto. E per questo va creduto, fino a prova contraria.
I POSTI CHIAVE NEI MINISTERI
Nel libro non si può ignorare di come alti magistrati abbiamo fatto comunella con loro colleghi per assumere il controllo degli uffici giudiziari o per pilotare sentenze amministrative decise a cena. O per entrare nella cabina di regìa dei Ministeri secondo la classica delle spartizione secondo il manuale Cencelli. Con la differenza che al posto dei partiti, stavolta c’erano le (quattro) correnti della magistratura.
Un uragano che non salva nessuno, neanche l’ultimo degli arrivati con una sua corrente, il giudice Piercamillo Davigo uno dei pilastri di Mani Pulite di cui Palamara elenca alcuni episodi.
Palamara dettaglia fatti e circostanze, individuando correnti e appartenente para politiche, e fotografando esattamente uno scenario che straccia la Costituzione.
I DOSSIERAGGI CONTRO I NEMICI E I NUOVI ASSUNTI
Dal Csm all’Anm, passando per le correnti, c’è uno Stato nello Stato: che decide chi bisogna punire, che fa dossieraggi, che allerta il “cecchino” di turno per colpire il disturbatore del momento e che non si scrupoli nel catechizzare le nuove reclute. Proprio così, nel sistema di spartizione rientravano anche i magistrati nuovi assunti, nel senso che venivano affiancati a tutor esperti facenti capo a diverse correnti affinchè alla fine del periodo di affiancamento potessero prendere la “tessera” della corrente, come per i partiti.
Una schifezza, verrebbe da dire. Palamara è solo la punta di un icerberg. Lui è responsabile alla pari dei suoi colleghi perchè da magistrato ha violato una regola ben precisa: ha omesso di denunciare, ben conscio di quello che sapeva, vedeva e di cui era primo giocatore e arbitro al tempo stesso.
DA BERLUSCONI A RENZI A SALVINI
Svelato il caso dei genitori di Renzi, della mancata nomina di Di Matteo al Dap, del ministero della Giustizia “sottratto” a Nicola Gratteri perchè poco gradito in quanto battitore libero (e non controllabile) per finire al collegio che ha condannato Silvio Berlusconi in Cassazione. Su quest’ultimo punto, basta leggere la dichiarazione, riferita nel libro, che un componente di quel collegio giudicante fece proprio a Palamara: ““In quella camera di consiglio ho visto cose indicibili, cose che voi umani non potete nemmeno immaginare”.
Ma c’è materiale anche di tempi più recenti, ad esempio il caso dell’ex ministro Matteo Salvini. In una chat con il procuratore di Viterbo, ai tempi del caso Diciotti quando la procura di Agrigento decide di inquisire il leader della Lega contrariamente a quello che fa il suo collega di Catania. Palamara, pur consapevole del fatto che l’allora ministro dell’Interno aveva ragione, scrive “Dobbiamo attaccarlo”. Perchè così volevano i suoi colleghi, infastiditi dal fatto che un Salvini potesse mettere mano alla riforma sulla giustizia.