Sullo status giuridico dei giudici di pace, un’altra decisione del Tar dell’Emilia Romagna rischia di rendere più complicata la vita al Ministero della giustizia sul “futuro” degli oltre 1.800 giudici onorari che ormai da decenni “affiancano”, quando non suppliscono, i loro colleghi togati. I giudici del tribunale amministrativo emiliano (I sezione, Presidente Andrea Migliozzi, relatore Paolo Amovilli) hanno infatti sospeso il giudizio relativo a un magistrato onorario di Rimini che chiedeva di restare in servizio oltre il 68esimo anno di età (e cioè fino al massimo ai 75 anni previsti per i magistrati ordinari) in attesa di una “nuova” pronuncia della Corte di giustizia europea su altri due “rinvii pregiudiziali” successivi alla decisione che un anno fa ha dato una prima “legnata” al Governo italiano equiparando l’attività del giudice di pace a quello del lavoratore dipendente in tema di risarcimento del anno per il mancato pagamento delle ferie.
La nuova decisione dei magistrati del Tar, sollecitata da un ricorso presentato dagli avvocati foggiani Gabriella Guida e Vincenzo De Michele – che da tempo hanno avviato una vera e propria crociata giuridica in favore dei magistrati onorari – sembra aprire un nuovo fronte impegnando lo staff legale di via Arenula a preparare una nuova controffensiva dinanzi al giudice comunitario.
I giudici di pace, come già detto, sono circa 1.800, ognuno di loro ha diritto a un’indennità di carica di poco più di 250 euro al mese e il tetto massimo di “retribuzione” non può superare i 72mila euro lordi all’anno anche se la media si attesta intorno ai 24mila euro.
La Corte di giustizia, come si legge nel nuvoo provvedimento del Tar dell’Emilia Romagna, ha statuito – in necessaria sintesi – sullo status lavorativo del giudice di pace, quale magistrato onorario, affermando che esso – oltre ad integrare la nozione di “organo giurisdizionale” ai fini della legittimazione a sollevare rinvio pregiudiziale dinnanzi alla Corte stessa – deve essere inteso, a determinate condizioni, quale “lavoratore” a tempo determinato secondo le rilevanti norme del diritto UE.
Ha precisato la Corte – prosegue il Tar – “l’irrilevanza della qualificazione onoraria delle funzioni esercitate” (punti 99 e 100) così come della natura pubblica o privata del datore di lavoro (punto 115) e che “la nozione di lavoratore ai fini dell’applicazione della direttiva 2003/88 non può essere interpretata in moda da variare a seconda degli ordinamenti nazionali ma ha una portata autonoma propria del diritto dell’Unione”.
In soldoni, dovrà essere la Corte di giustizia a stabilire se un giudice di pace “si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario che, nel corso del medesimo periodo, abbia superato la terza valutazione di idoneità professionale e maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni”.
Nel caso in esame, i magistrati amministrativi hanno deciso il ricorso presentato da Luciano Baldoin, giudice di pace di Rimini, il cui mantenimento in servizio era stato consentito grazie a una ordinanza del Tar emiliano poi ribaltata dal Consiglio di Stato a luglio, in concomitanza con la sentenza della Corte di giustizia di cui Palazzo Spada non ne aveva tenuto conto.
Ma sempre dal Tar dell’Emilia Romagna sono partite altre due pregiudiziali (ormai un anno fa) che sono così riassunte: e cioè se gli artt. 20, 21, 31, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, le direttive n. 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato (clausole 2 e 4), n. 1997/81/CE sul lavoro a tempo parziale (clausola 4) n. 2003/88/CE sull’orario di lavoro (art. 7), n. 2000/78/CE (art. 1, 2 comma 2 lett. a) in tema di parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, ostino all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana di cui alla legge 374/91 e s.m. e d.lgs. 92/2016 come costantemente interpretata dalla giurisprudenza, secondo cui i giudici di pace, quali giudici onorari, risultano oltre che non assimilati quanto a trattamento economico, assistenziale e previdenziale a quello dei giudici togati, completamente esclusi da ogni forma di tutela assistenziale e previdenziale garantita al lavoratore subordinato pubblico”.
Tutto chiaro? La partita, insomma, non è chiusa. E gli avvocati Guida e De Michele sono pronti a una serie di nuovi ricorsi per tenere vivo il diritto di centinaia di magistrati che da anni vivono una vera e propria discriminazione che lentamente sembra stia trovando “giustizia” a livello europeo. Un inciso: gli avvocati De Michele e Guida sono gli stessi che un anno e mezzo fa hanno sollevato questione di legittimità costituzionale su una serie di provvedimenti varati dal governo Conte in piena pandemia, affrontando trasversalmente sia le questioni relative alla sospensione dei giudizi (che hanno penalizzato economicamente soprattutto i giudici di pace) sia quelle aventi per oggetto i provvedimenti emergenziali. Da 15 mesi, l’enciclopedica ordinanza di remissione degli atti alla Corte costituzionale è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale, ma la Consulta non si è ancora espressa.