Tutto parte da una norma ormai obsoleta contenuta in un regio decreto vecchio di circa un secolo (1931) che disciplina i rapporti di lavoro degli autoferrotramvieri dipendenti di aziende (tpl) in regime di concessione. La norma, che regolarmente anche i procedimenti disciplinari prevede che, nei casi di sospensione o destituzione (licenziamento) – sanzione prevista persino per chi chi si rende colpevole di offesa «contro la persona del Re, dei Principi della Real Casa, del Capo del Governo e contro il Regime» (testuale, comma 1 art. 45), – ha diritto alla ratifica della sanzione da parte di un Consiglio di disciplina, organismo presieduto «preferibilmente» da un magistrato.
Nel caso della Regione Puglia, tale scelta – avvenuta 3 anni fa con decreto di nomina da parte del Governatore – era ricaduta sul dott. Elio Di Molfetta, giudice civile del tribunale di Trani al quale era stato affidato il vertice degli organismi disciplinari di tutte le aziende in concessione operanti in Puglia poiché, alla richiesta della Regione ai vari uffici giudiziari, aveva risposto esclusivamente il tribunale di Trani indicando un solo nominativo. Un inciso: tale incarico non prevede indennità, ma un rimborso spese per i viaggi fuori dal comune di residenza. Adesso, una sentenza del Consiglio di Stato (n. 3030/2023), mette letteralmente in crisi i sistemi disciplinari delle società di trasporto perché tale (unica) nomina è stata di fatto annullata.
Palazzo Spada ha infatti accolto l’appello proposto dal Csm contro la sentenza del Tar che, il 26 maggio dello scorso anno, aveva dato ragione al magistrato al termine di un contenzioso sulla negata autorizzazione a svolgere l’incarico. Motivo, la incompatibilità territoriale per gli incarichi extragiudiziari, che ha contrapposto da un lato, la testi del giudice tranese, avallata dal Tar Lazio; dall’altro, il Csm la cui delibera che negava l’autorizzazione, è stata ritenuta valida dai magistrati amministrativi di appello che ora hanno ribaltato la sentenza di primo grado.
Per l’organo di autogoverno della magistratura, infatti, sebbene le Commissioni di disciplina presiedute dal magistrato avessero una competenza territoriale su tutte le province pugliesi tranne quella di Andria – Barletta e Trani (che coincide con il circondario del Tribunale di Trani presso il quale presta servizio), l’incarico è stato ritenuto comunque pregiudizievole «all’immagine di indipendenza e imparzialità dell’amministrazione della giustizia».
Tesi ritenuta legittima dalla settima sezione di Palazzo Spada (presidente Marco Lipari, estensore Marco Valentini), perché adottata nell’ambito di un limite di autorizzabilità degli incarichi, che in questo caso è quello «territoriale» e «mira a prevenire ogni possibile incidenza sull’imparzialità (e sull’immagine di imparzialità) del magistrato». Inoltre, la circostanza che il Regio decreto (quello del 1931) prevede che il Consiglio di disciplina sia presieduto da un presidente scelto «preferibilmente» tra i magistrati «non determina – si legge nella sentenza del Consiglio di stato ad oggi sconosciuta a diverse aziende – l’incondizionata e automatica autorizzabilità dell’incarico, ma solo preclude di introdurre un divieto assoluto di autorizzazione dell’incarico».
Cosa accade adesso? La cancellazione della nomina del dott. Di Molfetta, ha di fatto mutilato gli organismi disciplinari delle aziende di trasporto con la conseguenza che, quelle «punizioni» (così le definisce la norma originaria) per le quali sono previste delle decisioni dei consigli di disciplina, restano in un limbo generando una incertezza sul piano giuslavoristico mettendo i giudici in una situazione di evidente difficoltà in caso di ricorsi (nuovi e pendenti).
Il Tribunale di Foggia si è pronunciato sulla «destituzione» di un lavoratore (causa decisa poco dopo la sentenza del Consiglio di Stato) e, prendendo atto della «assenza» del presidente del consiglio di disciplina, ha dichiarato il licenziamento affetto da vizi formali e procedurali. Nell’articolata sentenza di 31 pagine, il giudice Beatrice Notarnicola (presidente di sezione), ha in parte accolto la tesi dei difensori del lavoratore, gli avvocati Vincenzo De Michele e Gabriella Guida, confermando comunque la risoluzione del rapporto di lavoro, ma ha condannato l’azienda al pagamento di un risarcimento pari a 9 mensilità, oltre alle spese legali, quale «alternativa» alla reintegra nel posto in questo caso ritenuta non applicabile.
Per il dipendente – condannato penalmente in appello per violenza sessuale – non è stata utilizzata la clausola di massima protezione, confermata dalla giurisprudenza sulle sanzioni agli autoferrotamvieri. Il consiglio di disciplina, infatti, per tale vicenda si era riunito e aveva deciso, mentre l’azzeramento della nomina del presidente è arrivata dopo e, per il giudice del lavoro, ha costituito un vizio formale di nullità di un componente. Le parti potrebbero fare appello.
Ma che succede in quei casi in cui il consiglio di disciplina non si è ancora riunito o non ha ancora deliberato? Di certo, un lavoratore non può restare appeso a un filo a tempo indeterminato, fino alla nomina di un nuovo presidente (l’ultima volta sono serviti tre anni). E se l’organismo non «esiste» e al lavoratore è impedita tale difesa, la giurisprudenza lascerebbe pochi spazi a dubbi: la sanzione è nulla.