La vertenza della magistratura onoraria è tutt’altro che risolta. La «toppa» messa dal Governo con la Legge di Bilancio 2022 per raffreddare la procedura di infrazione Ue avviata nel luglio scorso – che avrebbe minato l’erogazione dei fondi del Pnrr secondo il regolamento comunitario – in realtà rappresenta un’aspirina contro una malattia più endemica di cui soffrono oltre 5mila magistrati onorari. Il 7 aprile prossimo, infatti, la Corte di giustizia deciderà sulla pregiudiziale sollevata dal Tar Emilia Romagna due anni fa sull’assimilazione del trattamento previdenziale e assistenziale (equiparazione) dei magistrati onorari ai loro colleghi togati o ad altri funzionari del comparto Giustizia.
In realtà, i giudici amministrativi hanno sollecitato i magistrati di Lussemburgo a definire meglio la posizione già assunta con la famoesa sentenza «Ux» del 16 luglio del 2020 in base alla quale i magistrati onorari sono da considerarsi lavoratori a termine avendo diritto alle tutela assistenziali e previdenziali. Pertanto, la nuova «chiamata» alla Corte di giustizia da parte (sempre) del Tar Emilia Romagna rischia di dare una nuova spallata e indebolire la criticata riforma varata dal Governo Draghi con la legge di bilancio che ha modificato l’art. 29 del decreto Orlando.
Cosa ha previsto l’intervento normativo? L’allungamento a 70 anni della permanenza in servizio de magistrati onorari (fino al 31 dicembre era 68 anni), nonché l’avvio di una stabilizzazione (con superamento di una selezione-concorso) previa rinuncia a ogni pretesa sul pregresso. Tradotto, i magistrati onorari che dopo il 1 gennaio hanno compiuto o compiranno 68 anni potranno restare in servizio (come cristallizzato prima da provvedimenti di alcuni Tar, poi da delibere del Csm e, infinei, da provvedimenti «per legge» dei presidenti dei tribunali in cui operano i magistrati onorari); mentre per il prosieguo si attende il «bando» che dovrebbe essere pubblicato dal Ministero per avviare le stabilizzazione di questi 5mila magistrati come funzionari (2mila euro al mese, che scendono a 1.500 in caso di prestazione non esclusiva). Chi non supererà il concorso o deciderà di ritirarsi avrà diritto a una buonuscita di massimo 50mila euro (in rapporto agli anni lavorati) e la rinuncia a ogni pretesa.
Un punto, questo, su cui il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, in commissione al Senato ha dovuto replicare a una «accusa» di ricatto ribaltandolo concettualmente come una «alternativa». Il ragionamento del ministro è stato questo: per ovviare a una infrazione, c’erano due strade: quella del risarcimento e cioè un indennizzo forfettario (i famosi 50mila euro per il passato «tutto compreso»), oppure la stabilizzazione nell’impiego pubblico cui si accede (secondo Costituzione) per concorso.
Tuttavia, la situazione è tutt’altro rose e fiori. Oltre alla pregiudiziale del 7 aprile, la Corte di giustizia è stata già investita ancora una volta sul tema magistratura onoraria da una articolata ordinanza del giudice di pace di Rimini che contesta la «nuova» riforma, quella varata con la legge di bilancio. E ancora: a maggio è prevista l’udienza dinanzi alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato proprio in relazione alla riforma introdotta con la legge di bilancio.
Dulcis in fundo, la stessa riforma Orlando rischia di essere silurata ancora una volta a livello comunitario perchè, come ha rilevato lo stesso ministro Cartabia in commissione Senato «ha un meccanismo che potrebbe incorrere nello stesso tipo di censure delle istituzioni europee perchè prevede rinnovi contrattuali che superano i tre anni» come previsto dalla Corte di giustizia e dalle norme Ue sui contratti a tempo determinato.
E c’è poco da scherzare perchè, come sottolinea l’avv. Vincenzo De Michele, promotore di diversi giudizi anche dinanzi alla Consulta sul tema, «con le due sentenze del 16 febbraio 2022 la Corte di giustizia, riunita in seduta plenaria, ha respinto i ricorsi proposti da Ungheria e la Polonia contro il meccanismo di condizionalità che subordina il beneficio di finanziamenti provenienti dal bilancio dell’Unione al rispetto da parte degli Stati membri dei principi dello Stato di diritto. Questo vuol dire che se non si rispettano i dettati europei, l’Europa puà bloccare i finanziamenti». In queste cause «il Belgio, la Danimarca, la Germania, l’Irlanda, la Spagna, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, la Finlandia, la Svezia e la Commissione europea sono intervenuti a sostegno del Parlamento Ue e del Consiglio dell’Unione – precisa il legale – l’Italia non ha fatto alcun intervento».
Leggi il mio articolo su La Gazzetta del Mezzogiorno 29 marzo 2022