Dalla Legionella alla Klebsiella, le infezioni ospedaliere dopo il caso del Policlinico di Bari, tornano di attualità. Due dei batteri più aggressivi che non danno scampo e sono mortali si annidano nei nostri ospedali. A causa della scarsa attenzione o addirittura negligenze come accade per la manutenzione delle condotte idriche (Legionella) o nella mancata attuazione di protocolli ministeriali tropo spesso ignorati e disattesi (per Klebsiella).
Il sequestro di due padiglioni al Policlinico di Bari richiesto dalla Procura pone una serie di interrogativi. Il primo riguarda i c.d. manager, scelti dalla politica e il più delle volte senza titoli di merito. Nel caso del Policlinico di Bari, il giudice parla di “conclamata e provata inerzia”. Basterebbero queste poche parole per cacciare dalla finestra, mettendoli in fila uno dopo l’altro, i vertici di questa azienda ospedaliera.
Il vero problema è che non si tratta di un caso isolato, soprattutto in Puglia. Le cosiddette infezioni nosocomiali sono purtroppo diffuse nonostante esistano rigidi protocolli e misure di prevenzione. Se venissero rispettati, probabilmente si ridurrebbero al minimo tali infezioni che il più delle volte si rivelano mortali.
Per quanto riguarda la Klebsiella, ad esempio, alcune inchieste in corso a Brindisi e Taranto, confermano anche in questo caso come la mancanza di quelle dovute attenzione finisce col provocare gravi conseguenze. A Brindisi, ricordiamo un’indagine della Procura riguarda almeno 19 morti sospette a causa del batterio, più altre 18 infezioni accertate nel corso delle investigazioni.
Non da meno anche la situazione dell’Asl di Taranto, che qualche mese fa ha pagato un risarcimento di oltre 800mila euro ai familiari di una donna operata al Santissima Annunziata per una caduta da una scala e successivamente morta per una infezione contratta in ospedale. In questo caso, una sentenza del giudice civile del tribunale di Taranto, Italo Federici, ha riconosciuto la responsabilità contrattuale da parte dell’Asl. L’azienda sanitaria non ha dimostrato di aver attuato quei protocollo universali di prevenzione previsti contro le infezioni ospedaliere.
Il tribunale jonico ha accolto in pieno la tesi difensiva dell’avv. Vito Cito, di Martina Franca, che ha assistito i familiari della vittima costringendo la Asl a pagare tenuto (non ha fatto neanche appelo). Questa sentenza è considerata apripista e sta facendo “scuola” in tutta Italia.
L’Asl di Taranto purtroppo non è nuova a tali vicenda. Una situazione che emerge da un altro procedimento penale che in queste ore vede il gip, Francesco Maccagnano, pronunciarsi sulla opposizione a un’archiviazione sulla morte di Emilia Amandonico. Si tratta di una donna 60enne, affetta da leucemia, morta nel 2018 pochi giorni dopo il ricovero. Fu tenuta in un reparto di degenza senza i dovuti accorgimenti previsti dai protocolli per pazienti immunodepressi
L’indagine sarebbe stata condotta non in maniera “completa” poichè nessuno avrebbe verificato l’esistenza di procedure interne, nè tanto meno l’attuazione di quei protocolli universali riconosciuti dal Ministero, nonchè da linee guida regionali. In questo caso si tratta del “Moscati” di Taranto e – contrariamente a quanto accaduto al Policlinico in cui pm e gip hanno acceso i riflettori sul management – l’inchiesta si è circoscritta solo sui medici.
Sul punto si attende ora la decisione del gip che dovrò fare i conti con una dettagliata consulenza di parte scritta dal dott. Vincenzo Defilippis (foto sotto), direttore dell’UOC di rischio clinico dell’Asl di Bari, e uno dei massimi esperti (collabora anche all’inchiesta sui morti di Brindisi) che ha messo in luce evidenti buchi negli accertamenti. Motivo per cui l’avv. Francesco Paolo Sisto, che rappresenta la parte civile, nell’opposizione ha chiesto l’imputazione coatta e il supplemento di indagini attraverso l’acquisizione di protocolli che, a suo dire, non esisterebbero.